martedì 30 novembre 2010

Non è vero che nessuno si muove. Anche in Parlamento non sono tutti uguali.

Sbirciando nel sito di open parlamento - che sto conoscendo sempre un po' di più e con maggior gusto! - ho trovato questo "ordine del giorno", un tipo di documento che, se viene accolto in Parlamento, serve ad impegnare il Governo a prendere determinate decisioni. Mi piace poter evidenziare che le nostre richieste, contrariamente a quanto i giornali e la stampa vogliono farci credere, in realtà vengono prese in considerazione dai parlamentari e sapendolo potrebbe essere più facile per tutti noi organizzare delle manifestazioni a supporto dei documenti, ordini del giorno, proposte di legge, discussioni di ogni tipo, che i parlamentari portano avanti. 

Non credete?

Atto Camera    Ordine del Giorno 9/3778-A/105 presentato da GIOVANNI LOLLI 
testo di venerdì 19 novembre 2010, seduta n.398  

La Camera,  

premesso che  

in attuazione del decreto-legge n. 39 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2009, nel mese di aprile 2009 sono stati emanati vari provvedimenti che hanno prima sospeso e poi prorogato sino al 30 giugno 2010 i pagamenti di tasse e contributi per le popolazioni colpite dal sisma del 6 aprile 2009;  

nel mese di luglio 2010 dopo due consistenti manifestazioni di cittadini avvenute a L'Aquila e a Roma e dopo numerose proteste unitarie promosse dai sindaci dei comuni colpiti dal sisma, dalle forze imprenditoriali, sociali e produttive del territorio è stato prorogato al 1o gennaio 2011 l'avvio della restituzione di quanto sospeso fino al 30 giugno 2010, lasciando invariata la data del 30 giugno per la fine della sospensione della tasse e dei contributi correnti escludendo solo i titolari da reddito di impresa o di lavoro autonomo con volume di affari non superiore ai 200.000 euro;  

il 29 luglio 2010 il Governo ha accolto, senza alcuna condizione, l'ordine del giorno 9/3638/229 che lo impegnava a predisporre le misure necessarie per prevedere nei confronti dei cittadini colpiti dal sisma del 6 Aprile 2009 lo stesso trattamento riservato ai cittadini delle Marche, dell'Umbria e del Molise colpiti dal terremoto o dei cittadini di Alessandria colpiti dall'alluvione;

dal 1 gennaio 2011 i cittadini colpiti dal sisma dovranno cominciare a restituire le somme sospese; 

le condizioni previste per la restituzione di quanto sospeso ai cittadini aquilani colpiti dal sisma sono completamente diverse da quanto previsto per le popolazioni colpite da altre calamità naturali poiché nessuno ha dovuto restituire il 100 per cento di quanto sospeso dopo appena 20 mesi, 

impegna il Governo 

a valutare l'opportunità di concretizzare, nel primo provvedimento utile, quanto si è impegnato a fare accogliendo l'ordine del giorno 9/3638/229 del 29 luglio 2010 prevedendo per i cittadini colpiti dal sisma del 6 aprile 2009 lo stesso trattamento riservato ai cittadini delle Marche, dell'Umbria e del Molise colpiti dal terremoto o dei cittadini di Alessandria colpiti dall'alluvione, cominciando col rimandare l'avvio della restituzione di quanto sospeso dal 1o gennaio 2011 al 30 giugno 2011.  

9/3778-A/105.(Testo modificato nel corso della seduta) Lolli, Toto, Di Stanislao, Mantini, Catone, D'Incecco, Ginoble, Tenaglia, Livia Turco, De Pasquale, Strizzolo, Castellani, Pelino, De Angelis. 

martedì 23 novembre 2010

openpolis e openparlamento: un pozzo di informazioni!

Ho trovato un sito all'apparenza molto utile.
Probabilmente arrivo ultima, come mi succede a volte quando mi entusiasmo dell'acqua calda già scoperta, ma per esempio su openparlamento ho appena potuto vedere che Mara Carfagna (giusto per fare una prova, con un tema attuale) ha avuto la seguente vita parlamentare:

Presenze in 7121 votazioni elettroniche 11.26% (802) (valore medio 76,50%)
Assenze 7.77% (553) (valore medio 14,55%)
80.97% (5,766) (valore medio 8,55%)

 E queste le sue posizioni riguardo i seguenti temi:

lunedì 22 novembre 2010

Ho trovato casa.

Quando passi 4 decenni convinta che la politica sia qualcosa di cui altre menti, altre persone debbono occuparsi, professionisti capaci di fare il bene tuo e del tuo Paese, e ti svegli finalmente -meglio tardi che mai - comprendendo a quale povertà il tuo delegare abbia condotto ogni tipo di discussione, sia politica, sia economica, sia intellettuale, all'improvviso ti manca l'aria.

Pensavo che non ci fosse bisogno di un nuovo partito. L'avevoscritto e in qualche modo ancora lo penso. Ma anche se sono ancora convinta che più che un partito nuovo servano uomini e donne che riportino in voga una politica "vecchia" fatta di etica e di bene comune, ora so che anche qualche partito manca. Forse un partito "vecchio".

L'ho capito incontrando quel partito dei miei ideali che pensavo esistesse ormai solo nei libri - pochi e rari - di storia della Resistenza, il periodo eroico degli uomini sacrificio; e mi sono sentita a casa. Ecco cosa dobbiamo recuperare: i luoghi della politica fatta da noi tutti, le case di quegli ideali che, lungi dall'essere spariti, forse sono solo stati sepolti dall'affarismo ma in noi sono presenti come l'odore dei luoghi della nostra infanzia, indimenticabile.

Perchè chi non è un "berluscones" non è necessariamente comunista, ma non serve essere comunisti per essere onesti e pretendere una politica in grado di affrontare con coraggio scelte fondate sulla giustizia e sull'equità sociale, con lo sguardo rivolto al bene di tutti i cittadini e non di piccole lobbies di pressione.

Riconosciamo la nostra storia, riappropriamoci delle nostre differenze, ricominciamo a fare politica, per smettere di dover difendere la Costituzione e la Democrazia e riprendere a lavorare per il bene di tutti noi!

Dal programma del Nuovopartitodazione.it, per il risanamento:
- DELLA POLITICA
- FINANZIARIO ED ECONOMICO
- DELLA CULTURA
- DELL’AMBIENTE
- DELLA SOCIETA'

domenica 21 novembre 2010

Una interessante analisi delle leggi elettorali italiane dell'ultimo ventennio

Legge Elettorale - Approfondimenti
Scritto da www.riforme.info
Domenica 14 Novembre 2010 12:27
di Franco Ragusa

Sulle leggi elettorali non si finisce mai di sentire o leggere gli argomenti interessati di chi, legittimamente, ma non per questo giustamente, sa di poter trarre vantaggi da un meccanismo elettorale piuttosto che da un altro.
Non è un caso, quindi, se dal dibattito sulla necessità di liberarsi del Porcellum risulti quanto mai difficile registrare sostanziali elementi di novità, se non la mera riproposizione, da parte delle forze politiche presenti in Parlamento, di un passaggio da un sistema maggioritario all'altro, da un sistema bipolare all'altro, il tutto accompagnato, a parole, dal nobile intento di restituire agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Un argomento forte, quest'ultimo, in grado di raccogliere larghi consensi e che potrebbe divenire il grimaldello per farsi ascoltare da un'opinione pubblica sin troppo stremata da oltre 16 anni di brutta politica.
Dalle parole ai fatti, però, è sin troppo evidente come le soluzioni proposte, non interessate ad approfondire i guasti prodotti dai due meccanismi elettorali di tipo maggioritario e bipolare sperimentati in Italia, non siano in grado di eliminare il “Parlamento dei nominati” che storicamente ha origine con la nascita, prima ancora del Porcellum, del primo partito-azienda in coincidenza con il passaggio dal sistema proporzionale al sistema maggioritario dei collegi uninominali.

Altro fatto storico accertato, inoltre, è che tutto ciò avvenne vanificando i primi effetti positivi provocati dall'unica riforma della legge elettorale, l'abolizione della preferenza multipla, mostratasi in grado di correggere, dall'esterno e per mano degli elettori, le degenerazioni del sistema partitocratico.
Nel 1992 ha infatti avuto luogo la “prima ed ultima elezione” con una legge elettorale di tipo proporzionale e con la possibilità, per gli elettori, di esprimere una sola preferenza.
La preferenza multipla era stata cancellata con il referendum elettorale del giugno 1991 e, come prevedibile, la vita interna dei partiti, dalla base ai vertici, ne fu stravolta.
Per la prima volta i piccoli candidati senza speranze si ritrovarono nell’impossibilità di ottenere spazi di privilegio all'interno del partito, non avendo più a disposizione la preferenza multipla attraverso la quale “vendere” al miglior offerente il proprio bacino elettorale. Problemi di natura opposta per i frequentatori dei corridoi alti, senza più strumenti per controllare i flussi delle preferenze.

Si era quindi passati dalle candidature fasulle, al solo scopo di portare voti a questa o quella corrente di partito, se non addirittura per vigilare, attraverso la combinazione delle preferenze da indicare sulle schede, sul comportamento degli elettori, ad essere costretti a concorrere sul serio: ognuno per sé e tutti per il partito.
In altre parole, a seguito di una semplice modifica della legge elettorale di tipo proporzionale, senza che venissero intaccati i principi di fondo della rappresentanza, le segreterie di partito si ritrovarono a dover fare i conti con un elettorato non più “usabile” dai mercanti di voti.

Con ogni probabilità, fu questa la molla che contribuì ad allargare il fronte politico dei favorevoli al sistema elettorale di tipo maggioritario.
Chi non poteva più controllare l’elettorato si ritrovò con le spalle al muro e con la necessità di sostenere un sistema in grado di restituire alle segreterie di partito l’individuazione e la nomina dei futuri parlamentari.
Erano gli anni di tangentopoli, della bancarotta e, senza dubbio, avrebbero potuto essere gli anni per l’effettivo passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. La gente era stufa e chiedeva a gran voce il cambiamento.
Troppo, decisamente troppo per un ceto politico che vedeva sfuggirgli di mano la situazione.
C’era da trovare un capro espiatorio sul quale indirizzare la protesta e, come per incanto, si ritrovarono tutti d’accordo nell’individuare la soluzione di tutti i mali: la legge elettorale di tipo proporzionale era la causa di tutto.
Il debito pubblico? Colpa del proporzionale.
La Corruzione? Il proporzionale.
Il mancato ricambio della classe politica? Sempre il proporzionale, anche se le elezioni del 1992 avevano registrato la crescita della Lega e un buon numero di “vecchi” parlamentari non rieletti perché “ghigliottinati” dalla preferenza unica.

Fu così, quindi, che la politica riuscì a cavalcare l’onda popolare dell’antipolitica, con un obiettivo di cambiamento che non cambiava nulla ma che, anzi, riportava indietro le cose.
A capo di questo “non cambiamento” gli strateghi della sinistra “governante” che, troppo impegnati a festeggiare in anticipo la vittoria elettorale che prevedevano sarebbe sicuramente arrivata con l'adozione di una nuova legge elettorale di tipo maggioritario, riuscirono nell'incredibile impresa di fornire la ciambella di salvataggio proprio a quel sistema politico clientelare che, qualsiasi cosa avesse proposto, sarebbe stata certamente guardata con diffidenza. Nel coro dei “nuovisti” si distinse, infatti, l’allora PDS, tra i principali sostenitori del quesito referendario con il quale, nel 1993, con un abile taglia e cuci si riuscì a trasformare la legge elettorale per il Senato, dagli esiti distributivi di tipo proporzionale, nel suo esatto contrario.

La vittoria del referendum produsse una legge elettorale per il Senato maggioritaria al 75% (collegi uninominali) e con recupero proporzionale dei non eletti per il restante 25%.
Per la Camera il legislatore decise per le stesse quote, introducendo, però, una seconda scheda per l’assegnazione della parte proporzionale.
Tra le principali caratteristiche della nuova legge elettorale: gli elettori non avevano più la possibilità di esprimere il voto di preferenza all’interno dei partiti o degli schieramenti preferiti.
Con il sistema dei collegi uninominali, infatti, soltanto in apparenza il voto è dato alla persona, perché nella realtà ciò che si vota sono le forze politiche candidate a governare.
Certo, anche con la precedente legge elettorale si votavano, sostanzialmente, le forze politiche, ma la differenza è sin troppo evidente: con i collegi uninominali è soltanto il partito o la coalizione, e non l’elettore, a selezionare e scegliere chi, di quel partito o schieramento, andrà in Parlamento.

Non contenti, però, di aver ottenuto, per via indiretta, il controllo totale degli eleggibili al Senato e del 75% alla Camera, per la seconda scheda per la Camera, per quanto di tipo proporzionale, venne esclusa la possibilità di esprimere la preferenza. Anche per questo voto, la sequenza degli eletti era predeterminata da una lista bloccata, con l’unica possibilità, per gli elettori, di prendere o lasciare il pacchetto così confezionato dai “padroni” della liste.

Create così le premesse per la formazione di Parlamenti totalmente asserviti ai desideri dei Capi, nulla di più logico che dal nulla arrivasse un Caudillo in grado di utilizzare al meglio la nuova legge elettorale di tipo maggioritario.
Nel giro di pochi mesi si assiste alla nascita di un nuovo fenomeno (fenomeno in tutti i sensi) politico.
Silvio Berlusconi, un signore legato mani e piedi con quanto di peggio la politica aveva espresso negli ultimi anni, dal nulla crea un nuovo soggetto politico a sua immagine e somiglianza.
Si assiste, per la prima volta nella storia repubblicana, alla nascita di un partito-azienda con a capo, indiscusso e indiscutibile, il padrone di tre reti televisive a carattere nazionale, giornali e, altro dettaglio non trascurabile, con ingenti disponibilità economiche da riversare sulla politica. 
Nasce e si sviluppa, in altre parole, un vero è proprio virus, il berlusconismo. Una degenerazione della politica che, nei suoi aspetti più tragicomici, di lì a poco coinvolgerà tutto il panorama politico. In breve tempo, infatti, prenderanno forma altri soggetti politici, non più di tipo partecipato, ma che faranno dell'identificazione con il leader la loro ragion d'essere.
Del resto, attendersi un comportamento più virtuoso sarebbe stato quanto mai ingenuo vista, appunto, la nuova legge elettorale che non consentiva un vero potere di scelta da parte degli elettori e i continui successi elettorali del berlusconismo, fondati sull'abile interpretazione del meccanismo elettorale maggioritario e della forzatura bipolare.
E' d'obbligo ricordare, infatti, i tempi e i modi della prima vittoria elettorale di Berlusconi.
Nel 1994, nel giro di pochi mesi Berlusconi si mette a capo, nell’impossibilità di tenere unite AN e Lega Nord sotto un solo simbolo, due diverse alleanze elettorali con il solo scopo d’impedire la vittoria della sinistra.
Ebbene sì, se chi arriva primo prende l’intera posta, è sufficiente suscitare timori per poter chiedere agli elettori un voto contro che, però, diviene anche investitura per governare con pieni poteri.
Senza un partito, quindi, ma con alle spalle un impero mediatico-imprenditoriale, imbracciata la bandiera dell’anticomunismo e a capo di due coalizioni che non sembravano poter convivere a lungo, Berlusconi vince le elezioni del ’94 con al seguito un nutrito gruppo di collaboratori che possiamo ben definire, a vario titolo, suoi dipendenti. Dipendenti nella vita d'azienda, dipendenti nella vita politica.

Ridotto l'esercizio del diritto di voto a mera partecipazione formale da parte degli elettori, estromessi definitivamente riguardo la scelta della classe politica e costretti a subire il ricatto del voto utile dalla logica maggioritaria del chi arriva primo prende l'intera posta, nulla di più logico e conseguenziale il successivo assalto ai valori fondanti il patto costituzionale che vide, pur se con lievi sfumature, più di forma che di sostanza, sia il centrodestra che il centrosinistra concordi nel sostenere la necessità di riformare in profondità la seconda parte della Costituzione.

Quest'altro dato storico, peraltro, ci fornisce gli elementi di analisi per indagare un altro dei falsi problemi sollevati per sconsigliare il ritorno al sistema proporzionale: il timore del ritorno di un centro politico paludoso in grado d'impedire forme di alternanza di governo.

E' infatti sufficiente guardare alla sostanza politica di quanto realizzato in questi ultimi anni per rendersi conto di come la realtà sia stata ben diversa dalle etichette.
In primo luogo, dall'introduzione del maggioritario entrambi gli schieramenti hanno fondato la loro "proposta di governo" con l'imperativo di attirare il centro, con annessi e connessi. Non solo gli elettori, per intenderci, ma anche i vari Mastella, Casini, Dini, ecc.
Il perché di questo è facilmente intuibile: se "chi arriva primo prende tutta la posta", diventa necessario intercettare tutti i voti possibili.
Ma i voti di centro, con un simile meccanismo, valgono doppio, perché possono spostarsi da uno schieramento all'altro. Se si perde il 2% di un estrema, difficilmente questi voti potranno passare dall'altra parte; se lo si perde al centro, invece, è alto il rischio che questa perdita possa divenire un +4% per l'altro schieramento.

A questa politica di riguardo verso il ceto politico e l'elettorato di centro ha poi corrisposto il superamento, almeno a sinistra, di tutta una serie di valori di riferimento e programmatici, lasciando così senza rappresentanza e senza tutele tutti quei settori sociali non compatibili con la politica fatta di freddi numeri e di saldi di bilancio.

Ma a prescindere da questo tipo di considerazioni, che potrebbero essere definite valutazioni prettamente politiche, c'è il dato storico delle cose sottoscritte e approvate che, ben lontane dal concetto di alternanza tanto magnificato, sulle questioni più critiche hanno visto il sostanziale accordo del centrodestra e del centrosinistra.

Nell'ordine:
1) L'istituzione, subito dopo la vittoria elettorale del centrosinistra nel 1996, di una commissione bicamerale per le riforme presieduta dall'On. D'Alema che, quasi all'unanimità, arrivò ad approvare un ampio progetto di revisione costituzionale che prevedeva una forma di Governo presidenziale, il federalismo e, sul fronte giustizia, la separazione delle funzioni per pm e giudici, due sezioni diverse del Csm, una Corte disciplinare diversa dal Csm, l'aumento del numero dei membri laici del Consiglio, le scelte di politica criminale fissate ogni anno dal Parlamento.
L'operazione saltò in dirittura d'arrivo, ma i contenuti di quel progetto sono stati in parte realizzati successivamente e, ancora oggi, continuano impegnare l'agenda politica.

2) L'approvazione, con il superamento del quorum dei due terzi in entrambe le Camere, delle modifiche costituzionali che hanno introdotto l'elezione diretta dei Presidenti di Regione. Una sorta di super Presidente che, grazie ai cosiddetti poteri antiribaltone, può minacciare lo scioglimento del Consiglio regionale a suo insindacabile volere.

3) L'approvazione del nuovo Titolo V che ha introdotto in Italia un vero e proprio federalismo competitivo. Su tutto, l'inserimento in Costituzione del principio dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. In altre parole, obiettivo della “Repubblica federale italiana” non è il raggiungimento di uguali livelli di prestazioni, bensì quello di fissare per legge le differenze, i livelli essenziali, dividendo così i cittadini in cittadini di serie A e di serie inferiori.
Per quanto approvata con soli 4 voti di scarto dal solo centrosinistra, la riforma federalista si rivelò così ben gradita al centrodestra che si guardò bene dal fare una vera campagna elettorale contro il referendum che nel 2001 confermò le modifiche al Nuovo Titolo V.

4) Alle elezioni del 2001 sia la Casa delle Libertà che l’Ulivo si presentarono agli elettori con un simbolo con il quale veniva esplicitamente indicato il candidato Premier.
Approfittando, quindi, degli effetti della nuova legge elettorale maggioritaria, veniva estorta agli elettori l’indicazione del futuro Capo del Governo.
Con un comportamento bipartisan e senza aver cambiato una riga della Costituzione, di colpo veniva meno un altro dei pilastri del sistema parlamentare.  Il potere di nomina del Presidente del Consiglio passava così dalle mani del Presidente della Repubblica, ed il confronto tra le forze politiche rappresentate in Parlamento, direttamente nelle mani delle segreterie di partito e gli accordi stipulati prima delle elezioni, il tutto da sottoporre ad un corpo elettorale che non avrebbe avuto altra scelta che subire il meccanismo imposto dalle due minoranze meglio organizzate. Certo, c’era anche la possibilità di rimanere a casa … Insomma, liberi di scegliere se aderire o no al nuovo corso imposto dalle forze maggiori.5) Riabilitata la casa reale che nulla fece per fermare il fascismo e che da questi si fece guidare la mano per firmare anche le odiose leggi razziali.6) Approvazione, da parte del centrodestra, di un organico progetto di revisione costituzionale, poi bocciato dal referendum confermativo, che in tema di poteri del Premier riprendeva quanto affermato nella “Bozza Amato” del dicembre 2003, sottoscritta dagli allora segretari di tutto il centrosinistra e che così testualmente recitava:
”per garantire il rispetto della volontà politica degli elettori e per evitare il rischio di uno scollamento tra cittadini e sistema politico, è giusto che non siano legittimati i c.d. ribaltoni. In questo senso, si conviene sul fatto che debba rendersi noto, contestualmente alla pubblicazione del programma elettorale, il nome del candidato alla guida del Governo, senza tuttavia farne oggetto di separata menzione nella scheda elettorale. Egli sarà poi nominato dal Presidente della Repubblica e investito della fiducia iniziale del Parlamento (o della Camera). In caso di sfiducia, e su sua proposta, vi sarà lo scioglimento a meno che una mozione costruttiva votata dalla maggioranza iniziale, comunque autosufficiente anche se integrata o eventualmente ridotta, non proponga un diverso candidato”.
Come si può inoltre intuire dalla breve lettura della bozza Amato, si comprende facilmente a chi il centrodestra si sia poi ispirato anche in occasione dell'approvazione della nuova legge elettorale ora vigente in tema di deposito dei programmi e nome del candidato alla guida della coalizione.

7) La continuità sostanziale della politica estera, in tema di missioni militari all'estero e accordi militari intrapresi dai precedenti governi, quale che sia stata la forza politica al Governo.

8) Il tacito accordo Veltroni-Berlusconi per le elezioni del 2008, infine, per utilizzare l'attuale legge elettorale, il Porcellum, in chiave bipartitica e contro tutti i precedenti alleati. La vicenda, peraltro, ha mostrato chiaramente come la sconfitta di Berlusconi non fosse un obiettivo prioritario del PD.

Ricostruito il quadro storico che, da solo, dovrebbe essere più che sufficiente per ripensare la scelta maggioritaria e l'adesione allo schema bipolare, non ci si può però permettere di ignorare che è forte il rischio di ritrovarsi da soli a combattere contro i mulini a vento.
L'attuale assetto politico-parlamentare ha, infatti, tutto l'interesse a mantenere le posizioni di privilegio conquistate proprio in virtù dei meccanismi elettorali di tipo maggioritario.
Si pone, quindi, la questione di come riuscire, dal basso, a rimettere in moto un percorso di modifica della legge elettorale e, nello specifico, l'adozione di un sistema elettorale coerente con l'impianto costituzionale e in grado di garantire il rispetto dei principi di rappresentanza e di uguaglianza.
In tal senso, è prioritario avviare una battaglia culturale in grado di suscitare interesse in quelle fasce di elettorato per lo più non rappresentate e ormai stanche di votare in un clima politicamente schizofrenico: di guerra civile permanente sotto il profilo dei proclami; di totale assenza di temi realmente contrapposti quando si tratta dell'azione di Governo come dell'Opposizione.

Va poi affrontato di petto il berlusconismo, in quanto fenomeno leaderistico che ha dilagato anche a sinistra, malamente mascherato con operazioni di facciata quali l'adozione delle primarie.
Le primarie altro non sono, infatti, che la semplificazione maggioritaria elevata all'ennesima potenza, e questo perché svolte in ambiti ristretti e facilmente indirizzabili e perché, soprattutto, non risolvono la questione del come garantire forme partecipate per la formazione di un progetto politico plurale.
La scelta delle primarie, inoltre, anche per la designazione dei candidati al Parlamento, è francamente difficile da comprendere e si spiega soltanto con la necessità di dover salvare la faccia nel mentre si continuano ad imporre agli elettori, quale che sia il sistema elettorale, candidati “prendere o lasciare”. E che si tratti soltanto di una presa in giro è ampiamente dimostrato dalle ragioni con le quali i sostenitori delle primarie si oppongono al voto di preferenza.

Ciò che infatti non ha senso, per i sostenitori delle primarie, far scegliere all'elettore attraverso il voto di preferenza, diventa improvvisamente sensato se il tutto si svolge nel piccolo dell'organizzazione partitica.

Rischi di clientele, corruzione, correntismo, aumento dei costi della politica e quant'altro via: il meccanismo delle primarie non sembrerebbe soffrire di questi guasti.

Di fronte ad una simile ascetica convinzione, che tra l'altro fa finta di dimenticare che il candidato uninominale scelto dalle primarie si ritrova a sostenere non una, ma ben due campagne elettorali, c'è, ovviamente, ben poco da aggiungere, se non l'osservare che tanto più ristretto potrebbe essere il corpo elettorale, e quello delle primarie o delle assemblee di sezione lo è di molto, tanto più dovrebbe risultare semplice poter comprare consensi ed esercitare indebite pressioni, ed è per questo che una tale critica al voto di preferenza non ha alcun senso e si manifesta in tutta la sua strumentalità.

Quali, allora, i reali motivo di tanta acredine nei confronti del voto di preferenza anche da parte di chi, oggi, si dichiara fortemente contrario al Parlamento dei nominati?
Molto semplicemente, per costoro le critiche al Porcellum non possono e non debbono spingersi sino al punto di mettere in discussione il principio maggioritario e la forzatura bipolare insiti nella scandalosa assegnazione di un premio di maggioranza senza limiti, o l'espulsione dal Parlamento di larghe fasce di elettorato in conseguenza della soglia di sbarramento e la costrizione al voto utile.

Anzi, al contrario, la spinta che proviene da ampi settori del centrosinistra va proprio nella stessa direzione, verso, cioè, un sistema maggioritario fondato sui collegi uninominali, comprendendo in questa ipotesi anche il ritorno al Mattarellum.

Ancora una volta, quindi, un cambiamento che non modifica nulla, che riduce il pluralismo per altra via e che non restituisce alcun potere di scelta agli elettori.


Per questo motivo, proporre con forza la discussione sul voto di preferenza potrebbe divenire lo strumento di chiarezza in grado di svelare il trucco di chi oggi propone sì di superare il Porcellum, ma non per cancellare il vergognoso “Parlamento dei nominati”, bensì per portare av anti altri interessi ben lontani da quello degli elettori.
In tal senso, sarebbe grave proporre o accontentarsi delle mezze soluzioni non in grado di risolvere alla radice il problema di come realizzare l'esercizio di un diritto di voto libero da condizionamenti ed in grado di far scegliere realmente i propri rappresentanti, in quanto si finirebbe per apparire uguali agli altri, interessati soltanto a garantire la sopravvivenza del ceto politico oggi messo ai margini.

Per concludere, per quali e quanti mali possano essere stati attribuiti al sistema proporzionale e al voto di preferenza, per la liberazione dal berlusconismo, dal “Parlamento dei nominati” e dalle degenerazioni insite nel sistema maggioritario e dalla forzatura bipartitica non ci sono altre soluzioni possibili. Anche e soprattutto perché il problema della governabilità è e deve divenire questione che non può essere risolta con forme di semplificazione pasticciata del quadro politico, bensì rispondendo in maniera corretta alle legittime richieste di un corpo sociale plurale che chiede e merita di essere rappresentato così come sancito in Costituzione:

Art. 3. Cost.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

L'Aquila chiama Italia, e l'Italia risponde!

La pioggia non ha fermato quella manciata di decine di migliaia di italiani (13 mila per la questura, ma a contare i "km di carne umana", quasi 30mila) che si sono incontrati ieri a L'Aquila, non solo per sostenere gli aquilani, ma anche per rivendicare il diritto di tutti gli italiani alla tutela delle città da parte dello Stato.

Siamo tutti aquilani, quando crollano beni artistici (Pompei ad esempio) che non potranno essere recuperati, quando esondano fiumi che già da anni dovevano essere messi in sicurezza, quando colate di fango fanno scempio di interi paesi costruiti nell'incoscienza dei pericolo di dissesti idrogeologici.

Non è un caso o una "sfortuna" l'accadere di tutte queste tragedie; non è colpa dei cambiamenti climatici; non è colpa della crisi economica. Le responsabilità siano chiare: la colpa è di chi da anni amministra la cosa pubblica, e in questi ultimi due anni in particolare lo fa senza alcun riguardo per l'ambiente (cui sono stati sottratti milioni e milioni di risorse economiche). La colpa è di chi seduto negli uffici accetta di chiudere uno o tutti edue gli occhi e consente a costruttori senza scrupoli di costruire - per esempio - palazzine di 6 piani proprio in zone a più alto rischio sismico.

Affermare che i soldi, per la tutela dell'ambiente italiano e la protezione dei suoi abitanti, non ci sono, è grave nella sua infondatezza. Grave quando poi è sotto gli occhi di tutti la destinazione delle risorse ad attività, magari meno urgenti per il bene pubblico, ma sicuramente più redditizie dal punto di vista dei numeri (e dei soldi) per qualcuno.

Ed è questo che fa "'l'esecutivo" di governo. O abbiamo dimenticato che la nostra costituzione prevede tre poteri distinti : Esecutivo nelle mani del Governo, Legislativo nelle mani di tutto il Parlamento e Giudiziario nelle mani della Magistratura? L'esecutivo che deve governare decide quali sono le priorità per il bene del Paese. Ed oggi, in cui crolla il nostro mondo, la priorità non è la nostra sicurezza. Non è costruire argini ai nostri fiumi, non è provvedere con scogliere ai danni delle mareggiate, ma soprattutto non è gestire l'enorme patrimonio di bellezza naturale che è l'Italia con criteri di urbanizzazione accettabili e sostenibili. Ne prendiamo atto.

Ieri la pioggia non ha fermato le carriole, perchè ditero le carriole c'è stata tutta la nazione. Ed io ero li, con orgoglio.

venerdì 19 novembre 2010

Emendamento 1.707: Violenza sessuale "lieve" sui minori. Una bufala?

Gira nel net la seguente notizia:
"Si commenta da sé. Si erano inventati un emendamento proprio carino. Zitti zitti, nel disegno di legge sulle intercettazioni avevano infilato l'emendamento 1.707, quello che introduceva il termine di "Violenza sessuale di lieve entità" nei confronti di minori.
Firmatari alcuni senatori di Pdl e Lega che proponevano l'abolizione dell'obbligo di arresto in
flagranza nei casi di violenza sessuale nei confronti di minori, se - appunto - di "minore entità".
Senza peraltro specificare come si svolgesse, in pratica, una violenza sessuale "di lieve entità" nei
confronti di un bambino.
Dopo la denuncia del Partito Democratico, nel Centrodestra c'è stato il fuggi-fuggi, il "ma non lo
sapevo", il "non avevo capito", il "non pensavo che fosse proprio così" uniti all'inevitabile
berlusconiano "ci avete frainteso".

Poi, finalmente, un deputato del Pd ha scoperto i firmatari dell'emendamento 1707.
Annotateli bene (e ricordate le facce):
sen. Maurizio Gasparri (Pdl),
sen. Federico Bricolo (Lega Nord
Padania),
sen. Gaetano Quagliariello (Pdl),
sen. Roberto Centaro (Pdl),
sen. Filippo Berselli (Pdl),
sen. Sandro Mazzatorta (Lega Nord
Padania)
sen. Sergio Divina (Lega Nord
Padania).
Per la cronaca:
il sen. Bricolo era colui che proponeva il "carcere per chi rimuove un crocifisso da un edificio pubblico" (ma non per chi palpeggia o mette un dito dentro ad una bambina o un bambino); il sen. Berselli è colui che ha dichiarato "di essere stato iniziato al sesso da una prostituta" (e da qui si capisce molto...); il sen. Mazzatorta ha cercato di introdurre nel nostro ordinamento vari "emendamenti per impedire i matrimoni misti"; mentre il sen Divina è divenuto celebre per aver pubblicamente detto che "i trentini sono come cani ringhiosi e che capiscono solo la logica del bastone" (citazione di una frase di Mussolini).
...e adesso cominciamo a riflettere se essere sempre politically correct con chi li ha votati sia una
mossa che paga...fatela girare se avete voglia e tempo..l'informazione da oggi è un dovere quasi etico... anche per ciascuno di noi."

Per dovere di cronaca vi riporto anche le contro notizie a riguardo, che farebbe pensare ad una bufala:
da Informarmy
da Il blog di Fabio B
da il blog di Mattia Butta

Quali leggi elettorali in discussione al Senato.

 Un articolo de Il Velino fa una mappatura delle leggi elettorali in discussione al Senato
 
MODELLO TEDESCO
I ddl n. 2293 e 2294 (presentati entrambi il 22 luglio 2010), a firma del senatore Rutelli (Api) e altri, fanno esplicito riferimento al modello tedesco. Per la Camera il n. 2293 prevede un sistema definito "proporzionale personalizzato". I seggi vengono assegnati per metà in collegi uninominali e per l'altra metà in base a liste circoscrizionali che competono con metodo proporzionale.
Resta affidato al risultato proporzionale il compito di determinare l'esito complessivo del voto. Ai seggi sono proclamati eletti i candidati che abbiano ottenuto la maggioranza nei collegi uninominali e, a seguire, i candidati presenti nelle liste circoscrizionali, fino a completare il numero di seggi spettanti a ciascuna lista in base all'assegnazione proporzionale.
In questo caso all'elettore si chiede di votare su due distinte schede (per il candidato nel suo collegio uninominale e per la lista nella circoscrizione), potendo quindi optare per un voto disgiunto. Si pone quindi una soglia di sbarramento al 5 per cento del totale dei voti validi.
Per quanto riguarda l'elezione del Senato, il ddl n. 2294 propone il ripristino della legge "voluta direttamente dall'Assemblea costituente", ossia un sistema formalmente fondato su collegi uninominali, ma in sostanza proporzionale puro. La prima legge elettorale del Senato (legge 6 febbraio 1948, n. 29) prevedeva infatti che il territorio di ogni regione fosse diviso in tanti collegi uninominali quanti senatori le spettavano in proporzione alla sua popolazione; ciascun candidato nei collegi uninominali doveva però "collegarsi" ad almeno due candidati in altrettanti collegi della stessa regione. Ma per risultare eletti in prima istanza nel rispettivo collegio, i candidati dovevano conquistare almeno il 65 per cento dei voti validi.

Un'asticella talmente elevata, che nella quasi totalità dei collegi si applicava un sistema di tipo proporzionale: i voti riportati dai candidati collegati fra di loro entro la regione venivano sommati insieme in modo da determinare la "cifra elettorale" di ogni gruppo di candidati in quella regione. I seggi disponibili nell'ambito regionale venivano quindi ripartiti fra i diversi gruppi di candidati in proporzione ai voti conseguiti da ciascun gruppo. Stabilito così quanti seggi spettassero ad ogni gruppo, si stabiliva l'ordine di precedenza dei singoli candidati all'interno del gruppo sulla base della "cifra individuale", espressa, per ovviare alla diversa ampiezza dei vari collegi, come percentuale degli elettori del collegio. La quasi totalità dei seggi del Senato veniva dunque assegnata con un sistema sostanzialmente proporzionale.

"Simile" al modello cosiddetto tedesco è il ddl n. 110 (presentato il 29 aprile 2008), a firma del senatore Cutrufo (Pdl). A differenza di quanto avviene in Germania, tuttavia, non prevede soglie di sbarramento e conserva un premio di maggioranza, a livello nazionale per la Camera e regionale per il Senato, ma solo a patto che la coalizione vincente raccolga "almeno il 40 per cento dei seggi in palio". Per la Camera dei deputati prevede che la metà dei seggi venga assegnata con il metodo proporzionale attraverso liste circoscrizionali bloccate e l'altra metà in collegi uninominali "ritagliati all'interno delle circoscrizioni medesime". E' prevista un'unica scheda, divisa in due parti, quindi il sistema non ammette il voto disgiunto. Anche per l'elezione del Senato la metà dei seggi viene attribuita attraverso liste bloccate su base regionale, mentre l'altra metà in collegi uninominali "infraregionali".

MODELLO FRANCESE
Il ddl n. 2098 (presentato l'8 aprile 2010), a firma del senatore Ceccanti (Pd) e altri, traduce in un testo di legge il sistema elettorale per il quale si è espressa a favore la maggioranza del Partito democratico. Un sistema che, richiamandosi esplicitamente a quello in vigore in Francia per l'elezione dei membri dell'Assemblea nazionale, prevede la reintroduzione dei collegi uninominali, estesi a tutti i seggi in palio per la Camera dei deputati e per il Senato, un secondo turno eventuale, cui si accede qualora nessuno dei candidati abbia ottenuto la maggioranza assoluta al primo. Per il secondo turno il ddl riproduce la vigente clausola francese che consente la presentazione ai candidati che abbiano conseguito almeno il 12,5 per cento dei voti degli aventi diritto.

UNINOMINALE A TURNO UNICO E RITORNO AL 'MATTARELLUM'
Propone invece il sistema uninominale a turno unico il ddl n. 27 (presentato il 29 aprile 2008), a firma del senatore Peterlini (SVP-Aut). Prevede, quindi, l'abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270, il cosiddetto "porcellum", limitatamente alla parte che regola l'elezione della Camera, riportando in vigore le disposizioni introdotte con la legge 4 agosto 1993, n. 277, il cosiddetto "mattarellum", da cui però viene eliminata la quota proporzionale del 25 per cento.

I ddl n. 1549 (presentato il 6 maggio 2009), a firma del senatore Ceccanti (Pd) e altri, e n. 1550 (presentato il 7 maggio 2009), a firma del senatore Cabras (Pd) e altri, nella sostanza propongono l'abrogazione della legge attuale, approvata nel 2005 (il cosiddetto "porcellum"), e il ritorno al sistema in vigore dal 1993, il cosiddetto "mattarellum". Per quanto riguarda la Camera, in ogni circoscrizione, il 75 per cento del totale dei seggi verrebbe attribuito nell'ambito di altrettanti collegi uninominali, nei quali risulta eletto il candidato che ha riportato il maggior numero di voti, e il restante 25 per cento dei seggi verrebbe attribuito proporzionalmente tra i gruppi dei candidati con il medesimo contrassegno concorrenti nei collegi uninominali.

Anche il n. 2327 (presentato il 14 settembre 2010), a firma del senatore Ceccanti (Pd), prevede l'abrogazione del "porcellum" e il ritorno al "mattarellum", ma prevedendo "l'allineamento della disciplina della Camera a quella prevista per il Senato" fino al 2005.

VOTO ALTERNATIVO
E' quello proposto dal ddl n. 2312 (presentato il 30 luglio 2010), a firma del senatore Ceccanti (Pd), che si richiama al modello australiano e al sistema adottato in Gran Bretagna dal Labour party per la scelta del leader del partito. Si tratta, nella sostanza, di un sistema uninominale a turno unico con una sorta di "ballottaggio preventivo" (o doppio turno in un'unica giornata). Consente infatti all'elettore di esprimere anche "seconde preferenze". "Vengono anzitutto scrutinati i primi voti - si spiega nella presentazione al ddl - Se nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta (nel quale caso sarebbe subito proclamato eletto) si comincia ad escludere il candidato che abbia ottenuto una minore quantità di primi voti e si spartiscono i suoi secondi voti tra i candidati restanti. L'operazione è ripetuta finché un candidato non arriva alla maggioranza assoluta". "Tale sistema - si legge nella nota - consente di avere i benefici del secondo turno elettorale, alzando significativamente la soglia di legittimazione dell'eletto, senza bisogno di portare per due volte gli elettori alle urne, evitando quindi i relativi costi politici (rischio di astensionismo) nonché materiali". Inoltre, secondo i promotori "incentiva in modo significativo un bipolarismo scelto collegio per collegio dagli elettori con la elevata soglia di legittimazione della maggioranza assoluta, nella semplicità di un unico turno elettorale". In una simulazione allegata al ddl, si ipotizza il seguente esito della votazione: Bianchi 80; Rossi 60; Verdi 40; Gialli 20. Su 200 voti, nessuno ha raggiunto la maggioranza assoluta di 101 voti su 200. Dunque, si esclude il candidato "Gialli" e si ripartiscono i suoi secondi voti: ne sono stati espressi 15, 5 per ciascuno degli altri tre candidati. Per cui il nuovo risultato sarebbe: Bianchi 85; Rossi 65; Verdi 45. I voti validi sarebbero 195 e anche in questo caso il quorum (di 98) non verrebbe raggiunto. Quindi, si elimina anche il candidato "Verdi" e si spartiscono i suoi secondi voti: supponendo che siano 35, di cui 5 a Bianchi e 30 a Rossi. In questo modo, Rossi con 95 voti supererebbe Bianchi, fermo a 90.

Mira allo stesso sistema il ddl n. 2357 (presentato il 6 ottobre 2010), a firma del senatore Musso (Pdl).

PREMIO NAZIONALE ANCHE AL SENATO
Il ddl n. 2356 (presentato il 5 ottobre 2010), a firma del senatore Quagliariello (Pdl), prevede semplicemente dei correttivi all'attuale sistema: sostituisce i premi di maggioranza su base regionale con un unico premio su base nazionale e prevede un'unica soglia di sbarramento pari al 5 per cento regionale, sia per le liste coalizzate sia per le liste singole, in luogo delle tre diverse soglie previste dal sistema vigente. Dunque, "qualora la coalizione di liste (o la lista singola) che ha conseguito il maggior numero di seggi nell'ambito di tutte le circoscrizioni regionali (incluse quelle della Valle d'Aosta e del Trentino-Alto Adige, il cui sistema di elezione rimane peraltro immutato), abbia conseguito meno di 170 seggi", ad essa verrebbe attribuito un "premio di governabilità" fino a raggiungere quota 170, ma "comunque in misura mai superiore a 45 seggi". Nella presentazione allegata al ddl i proponenti ricordano che "sono state molteplici e prevalenti le voci di giuristi, esperti ed esponenti politici dei più diversi orientamenti culturali e politici – tra tutti è sufficiente ricordare quella del professor Roberto D'Alimonte – a sostegno della piena conformità alla Costituzione dell'eventuale assegnazione di un premio di maggioranza o di governabilità nazionale, a condizione di un suo scrupoloso riparto nelle singole circoscrizioni regionali, in modo da rispettare la ripartizione dei seggi tra le regioni stabilita dalla Costituzione".

MODELLO IBRIDO TEDESCO-SPAGNOLO
Il ddl n. 696 (presentato il 27 maggio 2008), a firma del senatore Saro (Pdl), non è altro che la "traduzione in articolato", come si spiega nella presentazione allegata al testo, del cosiddetto "schema Vassallo-Ceccanti", che ha caratterizzato il dialogo tra il segretario del Pd, Walter Veltroni, e il leader del Pdl, Silvio Berlusconi, verso la fine del 2007. Si tratta in sostanza di un "ibrido" tra il sistema tedesco e quello spagnolo. Quindi prevede che metà dei seggi vengano attribuiti con metodo proporzionale e l'altra metà in collegi uninominali. Ma l'ampiezza contenuta delle circoscrizioni i cui seggi sono assegnati con il proporzionale, disegnate a livello provinciale, rappresenta in sé una implicita soglia di sbarramento.

RITORNO ALLE PREFERENZE
Come alla Camera, anche al Senato c'è poi una serie di disegni di legge che chiedono di reintrodurre il voto di preferenza rimanendo nell'impianto della legge attuale:

il ddl n. 871 (presentato il 2 luglio 2008), a firma del senatore Cuffaro (Udc);
il n. 748 (presentato il 5 giugno 2008), a firma del senatore Molinari (Pd);

il n. 111 (presentato il 29 aprile 2008), a firma del senatore Cutrufo (Pdl);

il n. 29 (presentato il 29 aprile 2008), a firma del senatore Peterlini (SVP-Aut), che prevede tra l'altro anche l'abolizione delle candidature plurime;
il n. 3 (presentato il 29 aprile 2008), d'iniziativa popolare, che prevede inoltre una serie di criteri di incandidabilità ed ineleggibilità, casi di revoca e decadenza del mandato, in caso di condanne penali.
Mira al proporzionale puro, infine, il ddl n. 1566 (presentato il 13 maggio 2009), a firma del senatore Chiti (Pd) e altri. Prevede infatti l'abolizione del premio di maggioranza dall'attuale legge, e di alzare la soglia di sbarramento per le liste coalizzate dal 2 al 4 per cento alla Camera e dal 3 al 4 per cento al Senato