giovedì 11 novembre 2010

Il voto, la politica e la democrazia.


La democrazia è una conquista preziosa. 
È quella forma di convivenza sociale che ci rende in grado di pretendere che il governo lavori per il bene di tutti i cittadini, e non rappresenti invece gli interessi di una singola casta, lobby, porzione di territorio. La democrazia ha però contorni labili, punti di debolezza che ciascuno di noi deve farsi carico di difendere e purtroppo non può mai esser data per scontato. Non quando questo significa trascurarla e smettere di partecipare attivamente alla sua fortificazione, pensando che altri debbano pensarci. 

Milioni di italiani hanno smesso di partecipare. 

Milioni che non si presentano più alle urne o lo fanno per annullare rassegnati il proprio voto. Addirittura assisto alla nascita di movimenti per l’astensionismo attivo, come se una cosa totalmente passiva come il rinunciare a scegliere possa magicamente costituire in se una presa di posizione, o apportare un qualunque cambiamento o miglioramento all’oggetto delle nostre proteste.

E le proteste sono sempre quelle:
-         - la politica non conosce più etica,
-         - la politica pensa solo agli interessi della casta,
-         - in politica sono tutti uguali e tutti mangiano a nostre spese,
-         - la politica non è in grado di darci una giustizia giusta
e via dicendo. 

Alla base il vero cancro in grado di distruggere la democrazia, ovvero la pretesa che la “politica” sia altro da noi, che sia qualcosa di cui occuparsi il meno possibile, qualcosa di sporco da fare ogni cinque anni (se ci dice bene)“di nascosto” nell’antro riservato al nostro prezioso ma sempre meno efficace voto. 

Sappiamo tutti che non è così, che al contrario il voto rappresenta solo il tratto finale di un percorso in cui ciascuno di noi, nella sua veste di cittadino democratico, ha il dovere di chiedere, sapere, capire, riscontrare risultati all’operato del Governo e soprattutto capire quale scelta deve fare quando, alla fine di questo percorso, sarà chiamato a dare il proprio voto per confermare un governo o per cambiarlo con quello di altri.

Oggi parliamo della legge elettorale, di come si sia riusciti magicamente a trasformare questo nostro prezioso voto, per il quale in altri tempi non così lontani uomini e donne hanno dato la vita, spesso senza neanche avere il piacere di veder realizzato il proprio ideale,  in qualcosa di così superfluo e poco incisivo da convincere quei famosi milioni di italiani a rimanere a casa e non partecipare neanche più al rito del voto. 

Onestamente non so quale possa essere il sistema elettorale migliore in grado di assicurarci il governo più equilibrato. Ma sono certa invece che qualunque sistema elettorale sia del tutto inefficiente quando un terzo degli elettori ritiene che il governo non dipenda da se stessi, e so anche che i Padri Costituenti evitarono accuratamente – dopo essersi posti il dubbio se fosse giusto o no – di inserire una specifica legge elettorale (quella proporzionale, all'epoca) tra i dettami costituzionali, prevedendo che lo sviluppo della democrazia avrebbe preteso negli anni sistemi sempre più aderenti alla società che si sarebbe creata. 

 "Ogni legge elettorale" conclude Lussu "ha infatti un carattere fluttuante e può essere modificata anche dopo poco tempo dalla sua entrata in vigore. Quindi, il voler includere nella Costituzione il principio di un vasto sistema elettorale, che può essere cambiato, è un fatto che contrasta con la caratteristica della Costituzione... che deve sancire principi perenni"

Quei politici, che fino al giorno prima erano sulle montagne, normalissimi uomini e donne pronti a difendere con la vita l’ideale di una democrazia che non avevano mai conosciuto, erano eticamente ineccepibili,  orientati al bene di tutti i loro concittadini, pieni di differenze ideologiche tra loro, a muovere le loro azioni - differenze sottili ma pure necessarie sfaccettature, date dalla rispondenza ao ordini diversi di valori – dotati di un alto senso di giustizia, si posero il problema di cosa avremmo deciso noi, dopo 60  anni, per consentire a tutti di partecipare attivamente alla costruzione quotidiana della nostra Nazione.

A noi non è richiesta la vita, per occuparci di politica. Partiamo per lo meno dal tornare a rendere il nostro voto significativo.

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