sabato 5 febbraio 2011

E' tempo di rivoluzione democratica

di Vittorio Emanuele Esposito


Auspicando la 'rivoluzione democratica' non pensiamo alle armi e nemmeno alla rivolta di piazza, ma ad una forte e continua pressione popolare, sempre meglio organizzata ( questo sì !), visto che - anche se non tutti, ad oggi, lo avvertono- da tempo non ci troviamo più in condizioni di normale svolgimento della vita democratica.

La maggioranza degli italiani, infatti, il 60%, ma forse anche di più, rimane inascoltata, non ha più mezzi e possibilità di influire sulle decisioni del Governo, che non tiene in alcun conto i suoi reali bisogni, i suoi appelli accorati, i suoi umori giustificati e governa solo in nome e per conto di una parte, e spesso secondo i prevalenti interessi di una sola persona. 


La legge elettorale consente alla maggioranza parlamentare di chiudersi in se stessa; il consenso è ridotto alla conta dei voti, molti dei quali comprati, come nel mercato calcistico, o ottenuti grazie a contropartite e ricatti.


Il dialogo tra governanti e governati, avviene ormai attraverso canali televisivi di proprietà o è affidato a un drappello di guastatori, che invadono gli spazi più liberi con il preciso compito di disturbare o di soffocare , non con argomenti, ma con urla e irrisioni, gli oppositori, mentre, dall'altra parte, l'opposizione si dimostra debole e divisa al proprio interno e accoglie, senza reagire come dovrebbe, le accuse che vengono rivolte all'una o all'altra sua componente, prestandosi al gioco degli avversari.


E, allora, la parola e l'iniziativa devono tornare al popolo, alla società che non vive di politica e non ha problemi di prudenza legati alla conquista del consenso elettorale e può con libertà dettare una nuova agenda politica , senza mediazioni e compromessi, e dire a gran voce: è arrivata l'ora di cambiare; questo sistema non ci piace!!!

Vogliamo un Parlamento di individui liberi e non aggregati in cosche o cricche, un Governo che rappresenti tutti i cittadini e non solo il proprio elettorato, vogliamo Partiti e Sindacati in cui si svolga un'autentica vita democratica, disciplinata dalla legge; vogliamo che la democrazia sia garantita anche nelle istituzioni giudiziarie, nella scuola, nell'organizzazione sanitaria, nella fabbrica, sottratte al centralismo dei Partiti e del Governo e restituite ai cittadini, vogliamo l'esercizio effettivo delle libertà locali e non un nuovo centralismo territoriale mascherato da federalismo.


E, poiché la libertà è solo un inganno se non si accompagna ad una distribuzione, proporzionata ed equa della ricchezza che l'intera società produce, vogliamo che la spesa pubblica abbia come assolute priorità la cultura, il lavoro, gli interventi sociali e che si cominci a pensare a misure perequative capaci di riequilibrare il rapporto ricchezza-povertà che si è divaricato in modo non più tollerabile per una società che voglia restare unità.


Per questo il Nuovo Partito d'Azione intende fare la sua battaglia a partire dalla Patrimoniale, contro chi l'avversa per interessi di classe, per ossequio ad un liberismo libresco, che chiude gli occhi di fronte ai molteplici ostacoli reali che si oppongono alla libera concorrenza e al libero mercato, o contro chi la rifiuta come misura 'impopolare' per puro calcolo politico.


Le passività del Bilancio statale finora sono state finanziate con l'emissione di titoli che hanno moltiplicato in modo esponenziale il Debito Pubblico e hanno scaricato il costo degli interessi (giunti alcuni decenni fa al 20%), cioè il guadagno dei grandi acquirenti, sull'insieme dei consumatori.


L'imposta sui grandi patrimoni, unita alla lotta all'evasione, che va contrastata con misure severe, fino alla confisca totale dei capitali sottratti al fisco- va nella direzione opposta di una perequazione sociale e della liquidazione dei patrimoni accumulati , che così vengono rimessi in circolazione per pagare gli interessi, restituire il Debito, avviare energiche politiche sociali e nuovi investimenti e per d i m i n u i re il peso fiscale che grava in modo eccessivo sulla massa dei contribuenti e sulle imprese.


Non basta più un riformismo blando come la camomilla. 

Ci vuole una rivoluzione. 
Appunto: la 'rivoluzione democratica', che solo un popolo giunto all'estremo della sua sopportazione può realizzare.

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