Roma, imprese in crescita: fino a quando?
I dati anagrafici sulle imprese di fonte Unioncamere-Cerved resi noti oggi da Il Sole 24 Ore confermano che l´area romana ha strutturalmente rafforzato, nel corso degli ultimi anni, la sua attrattività.
Roma è diventata la prima area del paese per numero di imprese, scavalcando Milano in testa alla graduatoria. Fra il 2005 e il 2008 Roma è l´area in cui il numero di imprese è cresciuto più che in ogni altra città italiana (+45 mila contro +10 mila a Milano). Inoltre, Roma è in testa alla classifica dei trasferimenti: il saldo fra imprese arrivate a Roma e imprese partite è di 1.601, mentre in generale nelle altre grandi città questo saldo è negativo (-1.066 a Milano).
Dati così significativi vanno riportati a fenomeni di lungo periodo, e permettono di commentare lo sviluppo urbano di Roma al di là delle fibrillazioni quotidiane della politica. Si tratta, infatti, di risultati raggiunti durante un quindicennio lungo il quale la comunità cittadina di Roma ha perseguito due importanti obiettivi.
Primo, quello di diversificare il tessuto produttivo della città, rafforzando alcune tradizionali specializzazioni (turismo, cultura e beni culturali, cinema e audiovisivo, aerospaziale) e investendo su nuove filiere (ricerca e sviluppo, servizi avanzati alle imprese, informatica e software, piccole e medie imprese dell´artigianato industriale). Secondo, quello di creare un contesto favorevole allo sviluppo e all´attrattività attraverso politiche locali di concertazione e di condivisione, che hanno coinvolto tutti gli attori sociali, nonché attraverso un grande sforzo di investimento nei servizi e nelle infrastrutture pubbliche, in primo luogo le metropolitane.
Tutto ciò è avvenuto attraverso un progetto e un impegno quotidiano di una classe dirigente diffusa, dalle Università alle imprese, dalle organizzazioni sindacali alla Camera di Commercio e alle istituzioni locali, e in primo luogo al Comune della Città Capitale guidato prima da Rutelli e poi da Veltroni.
C´è da domandarsi, oggi, se la città sia in grado di esprimere la stessa capacità progettuale degli anni passati. Si tratta infatti di stringere i ranghi per limitare gli effetti della crisi mondiale e nazionale. E di selezionare le sfide del futuro, a partire da quelle della sostenibilità dello sviluppo, della sua diffusione territoriale su scala metropolitana e regionale, della riduzione delle aree di disagio sociale, soprattutto di quelle legate alle eccessive disuguaglianze e alla difficoltà di accesso a beni primari come la casa.
C´è da sperare, allora, che rapidamente la cultura dei veti incrociati sia superata aprendo ad una soluzione della vicenda della Camera di Commercio, con una conferma delle scelte e delle linee perseguite negli ultimi quindici anni: d´altra parte, i numeri della crescita delle imprese romane sono il migliore indicatore della bontà di quegli indirizzi.
E c´è da sperare che altrettanto rapidamente la "cultura del no" (no al Piano regolatore, no alla Città dei bambini sulla Cristoforo Colombo, no alle torri dell´Eur, no alla Città dello Sport, no ai parcheggi, e via seguitando a cancellare la progettualità ereditata dalle precedenti amministrazioni) ceda il passo ad una cultura strategica capace di riunificare la città di fronte alle imponenti sfide del presente e del futuro. A proposito: che fine ha fatto la Commissione Marzano? A quando qualche lume da quell´importante consesso di intelligenze?
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