Chissà se il detto “aiutati che il ciel ti aiuta” non sia il fondamento ideologico portante delle imprese d’affari made in Vaticano, che ultimamente riempiono le pagine di molti giornali fornendo interessanti spunti di riflessione.
A Natale 2009 nasce, ad esempio, "Aquilakalo's srl", capitale sociale di diecimila euro, sede presso la Curia arcivescovile e un presidente del consiglio di amministrazione che è il vescovo ausiliare della città: Giovanni D'Ercole. Il “vescovo immobiliarista”, così è chiamato dai cittadini aquilani, che commentano con stupore – non senza una inconsapevole ammirazione – la capacità affaristica di questo rappresentante ecclesiastico capace, per comprovati meriti, di scavalcare l’arcivescovo “titolare” Giuseppe Molinari, nell’opera di ricostruzione post terremoto. Un vescovo che per mesi è stato anche presidente della società che dovrebbe gestire ancora 13 milioni (soldi della Caritas, dice) ancora senza destinazione d’uso: “il municipio non mi spiega, - ha detto a Repubblica - non indica dove, non mi dà la possibilità di investirli per il bene della comunità. Ho dato un ultimatum: entro giugno devono darmi le autorizzazioni, altrimenti li rimando via".
Il pallino immobiliare è potente per la Chiesa; che sia il recepimento dell’indicazione evangelica "Tu sei Pietra, e su questa pietra edificherò la mia chiesa"?
Indicazione evidentemente ben recepita, tanto da sollevare, proprio in questi giorni, un altro polverone: la riconversione di ex conventi ed ex collegi ad alberghi di lusso, in zone di altissimo pregio, dove ristorare il corpo e l’animo (una movimentazione di quasi 10.000 posti letto esentasse, un giro di affari di cui allo Stato non entra neanche un centesimo), ha sollevato non poche contestazioni da parte di Federalberghi, per cui si profila non solo un problema di concorrenza sleale, ma anche l’evidenza di rischi per i numerosi clienti.
1. Concorrenza sleale. Niente Ici, Ires dimezzata, le strutture del Vaticano godono di una posizione privilegiata ogni volta che rientrano nella categoria “ente di beneficienza”. Non importa se poi offrono camere che costano da 200 a 650 euro a notte con pacchetti che comprendono il biglietto per i Musei Vaticani, come l'ex convento delle suore oblate di Santa Maria dei sette dolori di via Garibaldi 27, oggi Donna Camilla Savelli Hotel gestito da una società privata. Oppure offrono rifugio per la preghiera con vista su Castel Sant'Angelo, intorno ai 100 euro a notte, come la Domus Carmelitana Sant'Alberto Patriarca di Gerusalemme.
2. Rischio sicurezza. Giuseppe Roscioli, responsabile di Federalberghi, segnala che "un albergo italiano, per mettersi a norma, deve avere l'autorizzazione dei vigili del fuoco. Stessa cosa per l'Haccp (Hazard Analysis and Critical Control Points), per prevenire e tenere sotto controllo tutto il percorso alimentare. C'è poi la legge 626 sulla sicurezza sul lavoro. E altre leggi come la 46/90 relativa, ad esempio, ai salvavita nelle camere. Tutte norme che queste strutture non sono obbligate a seguire.” Inoltre il personale che lavora negli istituti religiosi senza licenza alberghiera, spesso è fatto di suore, preti, parrocchiani, il che si traduce in un trattamento per i lavoratori ben diverso da quello legato alla normativa italiana.
Insomma, il contrasto tra i benefici di chi deve fare beneficenza rispetto al consueto travaglio dei normali cittadini in suolo italico, è alquanto stridente. Viene da domandarsi quanto tempo deve ancora passare perché il nostro Stato si affranchi veramente dalla Cupola di San Pietro.
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